CODART, Dutch and Flemish art in museums worldwide

Rembrandt e Morandi: mutevole danzi di segni incisi

Rembrandt and Morandi: capricious dances of etched marks Exhibition: 1 November 2006 - 7 January 2007

Curator

Marzia Faietti, director of the Gabinetto Disegni e Stampe degli Uffizi

From the museum website

Nel 2006 in occasione delle celebrazioni per i 400 anni dalla nascita di Rembrandt anche il Museo Morandi desidera rendere omaggio al grande artista olandese, considerando il costante interessamento che Giorgio Morandi rivolgeva soprattutto alla sua arte incisoria. Il pittore bolognese possedeva infatti cinque incisioni all’acquaforte di Rembrandt, di cui quattro oggi conservate presso il museo; inoltre si tenne sempre aggiornato sulle pubblicazioni relative all’argomento, fino a studiare attentamente, sebbene fosse scritta in inglese, la monografia di Ludwig Münz sulle acqueforti di Rembrandt uscita nel 1952.

L’esposizione è curata da Marzia Faietti, direttrice del Gabinetto Disegni e Stampe degli Uffizi e nasce dalla collaborazione con l’istituto fiorentino dove, oltre alle note acqueforti di Rembrandt, sono conservate molte incisioni di Giorgio Morandi donate dall’ultima sorella dell’artista.

Per Morandi l’attività incisoria, di cui fu docente presso l’Accademia di Bologna dal 1930 al 1956, non fu certo una pratica marginale o episodica rispetto all’opera di pittura, al pari di Rembrandt d’altronde, che incise soprattutto fra il 1626 e il 1665.

In un’intervista Morandi dichiarò di preferire, tra gli incisori, quelli “che sono anche pittori […] specialmente Rembrandt e Goya”. Non pare casuale dunque che Morandi fosse dedito a una tecnica “antica” come quella dell’acquaforte e che come Rembrandt utilizzasse un torchio di legno di quercia, oggi conservato in una sala del museo. Per queste ragioni la selettiva e ragionata rassegna ospitata nella Sala Ottagonale del Museo Morandi intende approfondire attraverso analogie visive la relazione tra le opere dei due incisori, anche a conferma e verifica degli studi compiuti da Lamberto Vitali in poi.

Nelle prime prove incisorie di Morandi, iniziate intorno agli anni Venti, i riferimenti tecnico-formali all’opera del grande maestro olandese sono quanto mai espliciti, anche se in un’interpretazione molto libera e originale. I due artisti appartengono, infatti, a due mondi e a due sensibilità molto diverse, ma li accomuna la flessibilità del segno e la variazione continua del tracciato. Il percorso espositivo mostrerà 33 incisioni di Rembrandt e Morandi a confronto rivelando affinità tecniche molto precise pur negli accostamenti iconografici molto lontani.

L’attenzione di Morandi per Rembrandt è testimoniata inoltre dalla presenza nella sua biblioteca di alcuni volumi sull’artista olandese che saranno esposti in mostra.

In occasione della mostra il Museo Morandi pubblica un dossier con testi di Marzia Faietti e Giusi Vecchi. Progettazione grafica: muschi&licheni. Edizioni Edisai, Ferrara.

From the website of the Gabinetto degli Disegni of the Uffizi, Florence

Che Morandi si fosse interessato a Rembrandt proprio agli inizi della propria formazione autodidattica come incisore, è risaputo.
Nella sua biblioteca non mancavano pubblicazioni sull’artista olandese, mentre nella collezione figuravano almeno cinque incisioni. Bisognerà guardare Rembrandt con gli occhi di Morandi per carpire il segreto della loro lontanante vicinanza.

A prima vista, i contatti sembrano circoscritti alla sua fase giovanile, ma le cose non andarono proprio così. Se non è tanto indicativo il fatto che Morandi possedesse un piccolo nucleo di incisioni dell’artista, riescono più significative le prove del suo affaticarsi sulle pagine della monografia che Münz aveva dedicato alle acqueforti di Rembrandt.

Morandi, quando si risolse a incidere, all’opulenza tecnica e descrittiva di Rembrandt oppose l’estrema rarefazione della “sua” natura, rinunciando a ogni complicata commistione di acquaforte, puntasecca e bulino per puntare quasi esclusivamente, dopo le sperimentazioni tecniche degli anni fra il 1921 e il 1923, sulle acqueforti.

Il punto di incontro con Rembrandt, Morandi lo rintraccia sul piano della variabilità del segno, verso l’emulazione delle potenzialità espressive della linea incisa.
Il bolognese non riesce meno prodigioso dal punto di vista tecnico, se le sue libere e mutevoli aggregazioni di tratteggi sanno scomporsi e ricomporsi in un’infinità di modi, più controllati o più informali, più sottili o più marcati. La sua povertà di mezzi e la moderata gamma di soggetti alimentano una sfida alla rovescia.
Morandi rinuncia a ogni forma di seduzione “esterna”, si concentra sul segno inciso e lo sottopone a costante metamorfosi, alla fine riuscendo non meno abile, virtuoso e di effetto del maestro olandese.

Nato a Bologna, avrebbe potuto ereditare l’humus locale scegliendo il mezzo più descrittivo e rassicurante del bulino: chi non sa infatti che a Bologna fu Marcantonio per primo a portare questa tecnica a risultati di eccezionale competizione emulativa della natura, con il concorso della lezione di Dürer? Ma Morandi decide piutosto di percorrere un’altra strada, che di nuovo incrocia Bologna: qui l’acquaforte venne esercitata da Parmigianino e poi da alcuni tra i più intelligenti e sensibili artisti bolognesi, da Annibale Carracci a Guido Reni, che seppe tradurre i toni argentei della Pala della Peste, prediletti da Morandi, nella luminosità rarefatta delle proprie acqueforti. Tuttavia Morandi non avrebbe potuto sostenere con esiti costantemente elevati l’estrema castigatezza formale delle sue immagini se non avesse incontrato la ricchezza vitalistica e trionfante delle linee incise e la mutevole scenografia delle luci e delle ombre di Rembrandt.

L’unica volta che si ispirerà a Rembrandt anche dal punto di vista iconografico, con la sua Conchiglia del 1921, Morandi lo farà emulando la sola natura morta dovuta all’olandese, quel conus marmoreus del 1650 che per la sapiente “ricreazione” dell’artista pare cambiare pelle e dal mondo dei naturalia trasmigrare in quello degli artificialia. Per Morandi non si trattava, comunque, di competere con la natura: bastavano i diaframmi artistici del segno mutante, così come le figure geometriche di Galileo, a fargli oltrepassare le colonne d’Ercole del reale, mentre lo sguardo continuava a rimanere fisso sugli oggetti intorno all’uomo.